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mercoledì 8 aprile 2020
Chiudono le attività. Le tasse non le azzerano. I soldi? Andate in banca…
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domenica 29 marzo 2020
Coronavirus: Riva Destra (FdI), Governo chiede soldi agli italiani, ma dona 50 milioni a Tunisia.
“Nei giorni scorsi la pagina Facebook dell’Ambasciata d’Italia in Tunisia annunciava che la cooperazione tra Italia e Tunisia continuava anche in un momento difficile e che lo stato Italiano, tramite la Cassa Depositi e Prestiti, aveva versato 50 Milioni di Euro alla Banca Centrale Tunisina. La somma, così come scritto nel post, sarà destinata al sostegno delle imprese tunisine per rispondere all'impatto socioeconomico a causa del Coronavirus. Il post, pubblicato sulla pagina dell’Ambasciata Italiana a Tunisi, in data 25 Marzo, era presente fino a questa mattina, quando verso le 10 è sparito. Forse per la vergogna?”.
Lo dichiarano in una nota Fabio Sabbatani Schiuma e Angelo Bertoglio, rispettivamente segretario e vicesegretario nazionale di Riva Destra, movimento federato a Fratelli d’Italia. “In Italia -continua la nota- i nostri imprenditori, i nostri commercianti, le nostre partite IVA, le nostre famiglie non hanno risposte, certezze e vivono nella paura di chiusure e fallimenti. I nostri operatori sanitari e i nostri operatori della sicurezza non hanno le dovute protezioni per poter operare in sicurezza, tanto da dover lavorare senza aver potuto fare il tampone per sapere se sono contagiati a loro volta, mandandogli allo sbaraglio.
Non ci sono tamponi -prosegue la nota- e medici per i nostri anziani dimenticati nelle case di riposo, curati grazie a Dio dalle infermiere e dalle Oss nei modi a loro possibili, ma anche loro con grandi difficoltà e senza tamponi.
Lo stato -conclude la nota- chiede soldi agli Italiani per sostenere la Protezione Civile e cosa si scopre? Che il governo Conte-Di Maio manda 50 milioni di euro per sostenere gli imprenditori tunisini. L’Italia e gli Italiani devono sapere ed e’ inutile cancellare i post”.
Fonte: LA VOCE del PATRIOTA
www.studiostampa.com
Lo dichiarano in una nota Fabio Sabbatani Schiuma e Angelo Bertoglio, rispettivamente segretario e vicesegretario nazionale di Riva Destra, movimento federato a Fratelli d’Italia. “In Italia -continua la nota- i nostri imprenditori, i nostri commercianti, le nostre partite IVA, le nostre famiglie non hanno risposte, certezze e vivono nella paura di chiusure e fallimenti. I nostri operatori sanitari e i nostri operatori della sicurezza non hanno le dovute protezioni per poter operare in sicurezza, tanto da dover lavorare senza aver potuto fare il tampone per sapere se sono contagiati a loro volta, mandandogli allo sbaraglio.
Non ci sono tamponi -prosegue la nota- e medici per i nostri anziani dimenticati nelle case di riposo, curati grazie a Dio dalle infermiere e dalle Oss nei modi a loro possibili, ma anche loro con grandi difficoltà e senza tamponi.
Lo stato -conclude la nota- chiede soldi agli Italiani per sostenere la Protezione Civile e cosa si scopre? Che il governo Conte-Di Maio manda 50 milioni di euro per sostenere gli imprenditori tunisini. L’Italia e gli Italiani devono sapere ed e’ inutile cancellare i post”.
Fonte: LA VOCE del PATRIOTA
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martedì 15 dicembre 2015
SULLE BANCHE LE MANETTE NON SCATTANO. PERCHÉ I PM SONO DIVENTATI COSI' BUONI?
Nella storiaccia delle banche fallite dopo aver ingoiato i risparmi di migliaia di cittadini c’è un punto che non quadra.
Qualcuno ha truffato. Qualcuno ha estorto.
Tuttavia, ed è qui l’incredibile, nessuno è in galera.
Non ancora almeno. Fatto, a pensarci, che è clamoroso in se. Proprio perché siamo in Italia.
Perché da noi l’obbligatorietà dell’azione penale è un totem. E con essa, la carcerazione preventiva, ove i reati la prevedano. Una certezza assoluta. Che ha reso celebri e celebrati tanti Pm. In un’Italia in cui non c’è null'altro di certo. Neppure il risparmio, a meno che non lo si nasconda dentro al materasso. L’azione penale sì che è certa. E scatta alla sola notizia di reato. Così come scattano le manette. Da Bressanone a Lampedusa. Non si sfugge. Se un Pm o un sostituto, un aggiunto o un Procuratore propriamente detto viene a conoscenza di un’ipotesi di reato, scatta l’indagine. L’inchiesta prende il largo. Si apre un fascicolo. Ma, soprattutto, nel men che non si dica, per qualcuno si aprono le porte del carcere. Preventivamente. Perché l’indagato non possa inquinare, reiterare, scappare. Carcerazione preventiva. Un istituto che gli anglosassoni guardano con un misto di sospetto e orrore, ma che da noi ha i suoi esegeti, le sue motivazioni e persino i suoi perché. Ed è appunto un perché quello che ci frulla in mente da qualche giorno. Perché nessun dirigente di una di quelle Banche, nessun consigliere d’amministrazione, nessun presidente, nessun amministratore delegato degli istituti di Credito che hanno messo sul lastrico migliaia di risparmiatori italiani è finito in galera? Possiamo leggere sui giornali ricostruzioni di fatti e misfatti, di attività che nulla hanno a che fare con il credito e il risparmio, di vere e proprie truffe quando non di palesi estorsioni perpetrate ai danni di cittadini magari sempliciotti, ma pur sempre cittadini. Possiamo indignarci e persino preoccuparci, ma nessun Pm pare voglia, in questo caso, far scattare le manette. Nessuna Procura che, per intanto, ordini una raffica di arresti tra i responsabili delle suddette banche: con tanto di telecamere dispiegate, telegiornali e tutto il contorno. Giusto per evitare inquinamenti delle prove o fughe. No, in questo caso pare di no. Pare che i dirigenti degli istituti che hanno prodotto tali danni e tali sofferenze possano tranquillamente attendere a casa, con i propri cari, eventuali sviluppi delle inchieste in corso. Strano, eh? In Italia si va in galera con una semplice ipotesi accusatoria, per una telefonata trascritta, per aver segnalato qualcuno, per aver conosciuto qualcun altro. Ma stavolta, no. Stavolta per l’ipotesi di truffa bancaria ai danni di migliaia di cittadini che, tra l’altro, ha già comportato il suicidio di un pensionato, il carcere preventivo non c’è. Perché?
Fabio Sabbatani Schiuma
www.studiostampa.com
Qualcuno ha truffato. Qualcuno ha estorto.
Tuttavia, ed è qui l’incredibile, nessuno è in galera.
Non ancora almeno. Fatto, a pensarci, che è clamoroso in se. Proprio perché siamo in Italia.
Perché da noi l’obbligatorietà dell’azione penale è un totem. E con essa, la carcerazione preventiva, ove i reati la prevedano. Una certezza assoluta. Che ha reso celebri e celebrati tanti Pm. In un’Italia in cui non c’è null'altro di certo. Neppure il risparmio, a meno che non lo si nasconda dentro al materasso. L’azione penale sì che è certa. E scatta alla sola notizia di reato. Così come scattano le manette. Da Bressanone a Lampedusa. Non si sfugge. Se un Pm o un sostituto, un aggiunto o un Procuratore propriamente detto viene a conoscenza di un’ipotesi di reato, scatta l’indagine. L’inchiesta prende il largo. Si apre un fascicolo. Ma, soprattutto, nel men che non si dica, per qualcuno si aprono le porte del carcere. Preventivamente. Perché l’indagato non possa inquinare, reiterare, scappare. Carcerazione preventiva. Un istituto che gli anglosassoni guardano con un misto di sospetto e orrore, ma che da noi ha i suoi esegeti, le sue motivazioni e persino i suoi perché. Ed è appunto un perché quello che ci frulla in mente da qualche giorno. Perché nessun dirigente di una di quelle Banche, nessun consigliere d’amministrazione, nessun presidente, nessun amministratore delegato degli istituti di Credito che hanno messo sul lastrico migliaia di risparmiatori italiani è finito in galera? Possiamo leggere sui giornali ricostruzioni di fatti e misfatti, di attività che nulla hanno a che fare con il credito e il risparmio, di vere e proprie truffe quando non di palesi estorsioni perpetrate ai danni di cittadini magari sempliciotti, ma pur sempre cittadini. Possiamo indignarci e persino preoccuparci, ma nessun Pm pare voglia, in questo caso, far scattare le manette. Nessuna Procura che, per intanto, ordini una raffica di arresti tra i responsabili delle suddette banche: con tanto di telecamere dispiegate, telegiornali e tutto il contorno. Giusto per evitare inquinamenti delle prove o fughe. No, in questo caso pare di no. Pare che i dirigenti degli istituti che hanno prodotto tali danni e tali sofferenze possano tranquillamente attendere a casa, con i propri cari, eventuali sviluppi delle inchieste in corso. Strano, eh? In Italia si va in galera con una semplice ipotesi accusatoria, per una telefonata trascritta, per aver segnalato qualcuno, per aver conosciuto qualcun altro. Ma stavolta, no. Stavolta per l’ipotesi di truffa bancaria ai danni di migliaia di cittadini che, tra l’altro, ha già comportato il suicidio di un pensionato, il carcere preventivo non c’è. Perché?
Fabio Sabbatani Schiuma
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