Ucciso in Siria da una donna-cecchino curda. Su internet le condoglianze del Califfato
La morte risalirebbe al 3 febbraio scorso e ad ucciderlo sarebbe stata una donna combattente curda. È giallo sulla sorte di un presunto «foreign fighter» italiano arruolato tra le fila dell’Isis e ucciso ad inizio mese a Kobane, in Siria. La notizia è circolata sui social network ad opera di appartenenti allo Stato islamico.
L’uomo, sempre secondo i terroristi, sarebbe un italiano di origini francesi proveniente da Venezia. Abo'u Izat al-Islam, questo il nome scelto dal combattente per l’arruolamento tra i miliziani del Califfato, avvenuto circa due mesi prima che fosse ucciso. La notizia della morte, inoltre, è stata data anche sui profili Twitter di alcuni peshmerga. Tra i terroristi islamici, invece, qualcuno commenta amaro: «Hanno ucciso il fratello italiano Abo'u Izat al-Islam, ucciso da un cecchino curdo. È finita la pasta al dente». Il presunto combattente italiano, di cui viene anche postata in Rete una foto che lo ritrae sorridente e armato di khalashnikov, al momento non comparirebbe nella lista dei foreign fighters partiti dall’Italia.
Intanto il Libia la situazione si è aggravata. Ieri militanti dello Stato islamico hanno rivendicato gli attacchi con autobombe avvenuti nella città di Qubbah, in cui hanno perso la vita quaranta persone e altre settanta sono rimaste ferite. Nella rivendicazione, fatta su social media e firmata dallo «Stato islamico provincia di Cirenaica», i militanti spiegano che è la «vendetta per lo spargimento del sangue di musulmani nella città di Derna». Il riferimento è ai raid aerei lanciati lunedì dalle forze aeree egiziane. Un secondo attentato all’oleodotto di Sarir, nel sud della Libia, sarebbe invece stato sventato dalle guardie preposte alla sicurezza degli impianti petroliferi che hanno individuato un ordigno a sei chilometri di distanza dal sito. Proprio il petrolio sarebbe al centro degli interessi dell’Isis. Secondo l’incaricato d’affari libico a Roma Azzedin al-Awami i jihadisti, come accaduto già in Siria e Iraq, stanno tentando di «mettere le mani» sui pozzi di petrolio della Libia per finanziare le loro attività terroristiche. «Per questo il governo (di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale, ndr) - ha aggiunto - chiede alla comunità internazionale di revocare l’embargo sulla vendita di armi alla Libia in modo da permettere al governo di difendere i campi petroliferi e sconfiggere il terrorismo». Finora, nelle mani dell’Isis non ci sarebero pozzi petroliferi, ma soltanto il porto di al-Zawiya. Mentre tutti i pozzi dell’ovest del paese, ovvero dai campi di Ras al-Lanuf fino al confine con l’Egitto, sono sotto il controllo del governo con sede a Tobruk. Per quanto riguarda la nascita a breve di un governo di unità nazionale, l’incaricato d’affari libico a Roma sostiene che ci sono «meno del 50% di possibilità». «Noi del governo di Tobruk vorremmo veramente la conciliazione nazionale in Libia, ma per fare questo c'è bisogno di un lungo periodo», ha affermato al-Awami, aggiungendo che il dialogo tra le fazioni ha davanti a sé ancora «un lungo percorso». Sulla situazione di Sirte al-Awami ha confermato che «è sotto il Califfato», mentre ha smentito le notizie circolate su un intervento delle milizie di Misurata. A questo punto, secondo Clint Eastwood , «forse era meglio tenersi Saddam Hussein e Muammar Gheddafi». Per il regista americano di «American sniper», in un'intervista al magazine tedesco Focus, «continuiamo a cercare di insegnare la democrazia alle altre culture, ma in alcuni casi serve un dittatore perchè le cose funzionino».
Francesca Musacchio - IL TEMPO
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sabato 21 febbraio 2015
Italiano muore combattendo per l’Isis
mercoledì 18 febbraio 2015
Europa: Riva Destra ha la vista lunga !

Riva Destra il 16 febbraio del 2011 era sotto la sede del Parlamento europeo a Roma, con la pioggia e due striscioni:
"Aridatece Ben Alì, Mubarak e Gheddafi"
e "Clandestini fuori da confini".
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ECCO LA VITA DELLE DONNE SOTTO L'ISIS
Il noto quotidiano britannico The Guardian ha condotto un’inchiesta, pubblicata oggi, riguardante le rigide regole che gli estremisti islamici dell’Isis impongono alle donne residenti nelle regioni conquistate.
A parlare sono state alcune donne residenti a Mosul, Raqqa e Dier el-Zour, che attraverso telefoni privati e Skype hanno raccontato di come fossero, ad esempio, costrette ad uscire solo in compagnia di un guardiano, chiamato mahram, e ad indossare pesanti veli a doppio strato per tenere coperto praticamente tutto il corpo.
Una di queste testimoni, la 20enne Sama Maher, ha dichiarato di essere stata più volte incarcerata dalla polizia religiosa per aver contravvenuto a queste rigide norme. La giovane ha infatti dichiarato “E’ impossibile per una donna di Raqqa o di Deir el-Zour andare da qualsiasi parte senza il controllo di un mahram. Ho dovuto interrompere i miei studi ad Aleppo-ha continuato la ragazza-perché non mi è più permesso attraversare i checkpoint senza un mahram, ed uscire dalla città come facevo un tempo”. L’Isis ha infatti, tra le altre cose, provveduto a far chiudere tutte le sedi universitarie nelle aree sotto il suo controllo. Anche gli stessi guardiani maschi sono sottoposti a severe punizioni, nel caso in cui la donna affidata loro si permetta di provare ad eludere anche solo una di queste regole.
“Obbligano le donne di tutte le età a mettere il velo, sebbene la maggior parte delle donne di Mosul indossi lo hijab. L’Hisbah colpisce le donne in testa con un bastone, quando le sorprende senza velo” ha invece confessato Maha Saleh, pediatra di 36 anni. A Raqqa, capitale dell’Isis in Siria, le donne vengono obbligate ad indossare l’abaya (un lungo camice nero che copre tutto il corpo, esclusi piedi e mani), con tanto di velo per coprire il volto, ed in seguito persino un velo per coprire gli occhi.
C’è anche una testimonianza maschile tra le varie voci femminili, ed è quella di Sabah Nadem, cittadino di Mosul, che racconta un tragicomico aneddoto riguardante un normale atto di routine: fare la spesa al supermercato. “Una volta sono andato in un suq (una sorta di grande mercato, nda) con mia moglie, ma dopo un po’ l’ho persa in mezzo alla folla. Il problema è che tutte le donne erano coperte da capo a piedi, e non capivo quale fosse mia moglie. Ero spaventato, temevo di poter tornare a casa con la donna sbagliata. Sarebbe stato un disastro finire in mano all’Hisbah. Non potevo nemmeno utilizzare il cellulare, perché non c’era campo”. Alla fine Nadem ha dichiarato di essere riuscito a trovare sua moglie, a dopo averla chiamata per lungo tempo a gran voce in mezzo al resto della folla.
Persino nelle scuole e negli ospedali vigono queste imprescindibili norme, e sono le donne sopra i 45 anni sono esentate dall’obbligo di indossare il velo per coprire interamente il viso. Anche negli autobus vengono effettuate ispezioni ad opera degli uomini dell’Isis, che controllano caso per caso che le donne indossino ogni singolo capo d’abbigliamento previsto dal fanatico codice, e che siano accompagnate da un mahram. E di recente, a Mosul, l’Isis ha ordinato la chiusura di tutti i saloni di parrucchiere. Drammatica la storia di Samah Nasir, 43 anni, che ha deciso di riaprire il salone nonostante il divieto, perché ormai lei-parrucchiera di professione da 9 anni-non aveva altro modo per dare da mangiare ai propri figli, e pagare le cure mediche per il marito malato.
In seguito a questo fatto, l’Hisbah si presentò a casa sua, portando suo marito davanti alla corte della sharia. Quindi dichiarò che la donna, come pena per aver sfidato le leggi imposte dai terroristi, avrebbe dovuto pagare l’equivalente di 1.500 dollari, e ricevere 10 frustate ai piedi. “Non mi sono mai trovata in una simile situazione” ha confessato Samah agli inviati del The Guardian, aggiungendo poi che ora vive nel terrore, ed esce di casa solo quando strettamente necessario.
Un crudo spaccato che racconta quanto possa essere spaventosa e terrorizzante la vita sotto una dittatura religiosa.
Fabio Sabbatani Schiuma
www.studiostampa.com
A parlare sono state alcune donne residenti a Mosul, Raqqa e Dier el-Zour, che attraverso telefoni privati e Skype hanno raccontato di come fossero, ad esempio, costrette ad uscire solo in compagnia di un guardiano, chiamato mahram, e ad indossare pesanti veli a doppio strato per tenere coperto praticamente tutto il corpo.
Una di queste testimoni, la 20enne Sama Maher, ha dichiarato di essere stata più volte incarcerata dalla polizia religiosa per aver contravvenuto a queste rigide norme. La giovane ha infatti dichiarato “E’ impossibile per una donna di Raqqa o di Deir el-Zour andare da qualsiasi parte senza il controllo di un mahram. Ho dovuto interrompere i miei studi ad Aleppo-ha continuato la ragazza-perché non mi è più permesso attraversare i checkpoint senza un mahram, ed uscire dalla città come facevo un tempo”. L’Isis ha infatti, tra le altre cose, provveduto a far chiudere tutte le sedi universitarie nelle aree sotto il suo controllo. Anche gli stessi guardiani maschi sono sottoposti a severe punizioni, nel caso in cui la donna affidata loro si permetta di provare ad eludere anche solo una di queste regole.
“Obbligano le donne di tutte le età a mettere il velo, sebbene la maggior parte delle donne di Mosul indossi lo hijab. L’Hisbah colpisce le donne in testa con un bastone, quando le sorprende senza velo” ha invece confessato Maha Saleh, pediatra di 36 anni. A Raqqa, capitale dell’Isis in Siria, le donne vengono obbligate ad indossare l’abaya (un lungo camice nero che copre tutto il corpo, esclusi piedi e mani), con tanto di velo per coprire il volto, ed in seguito persino un velo per coprire gli occhi.
C’è anche una testimonianza maschile tra le varie voci femminili, ed è quella di Sabah Nadem, cittadino di Mosul, che racconta un tragicomico aneddoto riguardante un normale atto di routine: fare la spesa al supermercato. “Una volta sono andato in un suq (una sorta di grande mercato, nda) con mia moglie, ma dopo un po’ l’ho persa in mezzo alla folla. Il problema è che tutte le donne erano coperte da capo a piedi, e non capivo quale fosse mia moglie. Ero spaventato, temevo di poter tornare a casa con la donna sbagliata. Sarebbe stato un disastro finire in mano all’Hisbah. Non potevo nemmeno utilizzare il cellulare, perché non c’era campo”. Alla fine Nadem ha dichiarato di essere riuscito a trovare sua moglie, a dopo averla chiamata per lungo tempo a gran voce in mezzo al resto della folla.
Persino nelle scuole e negli ospedali vigono queste imprescindibili norme, e sono le donne sopra i 45 anni sono esentate dall’obbligo di indossare il velo per coprire interamente il viso. Anche negli autobus vengono effettuate ispezioni ad opera degli uomini dell’Isis, che controllano caso per caso che le donne indossino ogni singolo capo d’abbigliamento previsto dal fanatico codice, e che siano accompagnate da un mahram. E di recente, a Mosul, l’Isis ha ordinato la chiusura di tutti i saloni di parrucchiere. Drammatica la storia di Samah Nasir, 43 anni, che ha deciso di riaprire il salone nonostante il divieto, perché ormai lei-parrucchiera di professione da 9 anni-non aveva altro modo per dare da mangiare ai propri figli, e pagare le cure mediche per il marito malato.
In seguito a questo fatto, l’Hisbah si presentò a casa sua, portando suo marito davanti alla corte della sharia. Quindi dichiarò che la donna, come pena per aver sfidato le leggi imposte dai terroristi, avrebbe dovuto pagare l’equivalente di 1.500 dollari, e ricevere 10 frustate ai piedi. “Non mi sono mai trovata in una simile situazione” ha confessato Samah agli inviati del The Guardian, aggiungendo poi che ora vive nel terrore, ed esce di casa solo quando strettamente necessario.
Un crudo spaccato che racconta quanto possa essere spaventosa e terrorizzante la vita sotto una dittatura religiosa.
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