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mercoledì 8 agosto 2018
Buone Ferie e ... RICORDA !
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martedì 31 luglio 2018
Nota sulla crisi sanitaria calabrese.
Dal tramonto all'alba: mai titolo fu più veritiero, purtroppo è questo il tempo di attesa che i pazienti giunti con traumi articolari debbono subire presso il Pronto Soccorso dell'Ospedale di Reggio Calabria, il loro trattamento momentaneo (in attesa dell'apertura mattutina del reparto ortopedico previsto per le ore 8) è una fasciatura con supporto di cartone, un metodo che neanche nelle zone sud-sahariane viene probabilmente applicato ai pazienti.
La sanità calabrese è alle prese con un debito di 100 milioni di euro, di conseguenza sono previsti tagli e risparmi da parte degli ospedali... quasi un'anno prima delle elezioni regionali abbiamo il dovere di chiederci: ma proprio sulla pelle dei calabresi dovete adottare questi metodi che offendono la dignità di un popolo ?
Non provate un pizzico di vergogna ?
Quali ricette magiche proporrete in vista della corsa alle poltrone di Palazzo Campanella ?
(Vincenzo Caravona- Responsabile Enti Locali - Riva Destra- Coordinamento Calabria).
www.studiostampa.com
La sanità calabrese è alle prese con un debito di 100 milioni di euro, di conseguenza sono previsti tagli e risparmi da parte degli ospedali... quasi un'anno prima delle elezioni regionali abbiamo il dovere di chiederci: ma proprio sulla pelle dei calabresi dovete adottare questi metodi che offendono la dignità di un popolo ?
Non provate un pizzico di vergogna ?
Quali ricette magiche proporrete in vista della corsa alle poltrone di Palazzo Campanella ?
(Vincenzo Caravona- Responsabile Enti Locali - Riva Destra- Coordinamento Calabria).
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venerdì 27 luglio 2018
Palestrina. Festa Tricolore: “C’è voglia di Destra”.
Presenti alla manifestazione di Palestrina: Borghezio (Lega), Silvestroni (FdI) e i consiglieri regionali del Lazio Colosimo (FdI) e Ghera (FdI), oltre all’ex senatore Aracri (FI) e Francesco Storace.
“Noi crediamo ancora in un centrodestra unito, ma dobbiamo capire se questa coalizione sia ancora viva o meno. Una cosa è certa: c’è voglia di destra e lo si spiega con il proliferarsi di movimenti identitari autonomi come il nostro, poiché le idee con le quali Salvini oggi ha occupato per lo più l’elettorato di quest’area politica, sono comunque battaglie storiche della destra italiana”.
Lo dichiara in una nota Fabio Sabbatani Schiuma, fondatore del movimento Riva Destra, nato dal primo storico circolo di Alleanza Nazionale, che dopo l’inaugurazione il 4 luglio scorso della sua nuova sede romana, in via Venezia, a fianco al Viminale, ha riportato in provincia di Roma lo storico appuntamento della destra italiana ieri a Palestrina (RM).
“E’ stato un segnale - continua Fabio Sabbatani Schiuma, oggi consigliere del Municipio V di Roma dopo quasi 15 anni da consigliere comunale in Campidoglio - che abbiamo voluto dare per la necessaria ricostruzione della destra partitica dopo il fallimento di Fini e di tutti i suoi colonnelli. Serve una nuova classe dirigente per ricostruire”.
Riva Destra comunica che “sono stati presenti Mario Borghezio, europarlamentare della Lega e Presidente della Fondazione ‘Europa dei popoli’, il deputato Marco Silvestroni (FDI), responsabile della provincia di Roma, e i consiglieri regionali Chiara Colosimo (FDI) e Fabrizio Ghera (FDI), l’ex senatore Francesco Aracri (FI) e Francesco Storace. Sono intervenuti poi - conclude Riva Destra - Alfio Bosco (portavoce nazionale RD), il coordinatoe della Puglia, Francesco De Noia, il coordinatore romano Lorenzo Loiacono, Enzo Rivellini, già europarlamentare e oggi leader del movimento Napoli Capitale, e il consigliere comunale di Catania, Nino Penna (RD Sicilia), appena eletto nella lista Diventerà Bellissima del governatore Nello Musumeci”.
(Nella foto, Francesco Storace)
Fonte: Roma Daily News
www.studiostampa.com
“Noi crediamo ancora in un centrodestra unito, ma dobbiamo capire se questa coalizione sia ancora viva o meno. Una cosa è certa: c’è voglia di destra e lo si spiega con il proliferarsi di movimenti identitari autonomi come il nostro, poiché le idee con le quali Salvini oggi ha occupato per lo più l’elettorato di quest’area politica, sono comunque battaglie storiche della destra italiana”.
Lo dichiara in una nota Fabio Sabbatani Schiuma, fondatore del movimento Riva Destra, nato dal primo storico circolo di Alleanza Nazionale, che dopo l’inaugurazione il 4 luglio scorso della sua nuova sede romana, in via Venezia, a fianco al Viminale, ha riportato in provincia di Roma lo storico appuntamento della destra italiana ieri a Palestrina (RM).
“E’ stato un segnale - continua Fabio Sabbatani Schiuma, oggi consigliere del Municipio V di Roma dopo quasi 15 anni da consigliere comunale in Campidoglio - che abbiamo voluto dare per la necessaria ricostruzione della destra partitica dopo il fallimento di Fini e di tutti i suoi colonnelli. Serve una nuova classe dirigente per ricostruire”.
Riva Destra comunica che “sono stati presenti Mario Borghezio, europarlamentare della Lega e Presidente della Fondazione ‘Europa dei popoli’, il deputato Marco Silvestroni (FDI), responsabile della provincia di Roma, e i consiglieri regionali Chiara Colosimo (FDI) e Fabrizio Ghera (FDI), l’ex senatore Francesco Aracri (FI) e Francesco Storace. Sono intervenuti poi - conclude Riva Destra - Alfio Bosco (portavoce nazionale RD), il coordinatoe della Puglia, Francesco De Noia, il coordinatore romano Lorenzo Loiacono, Enzo Rivellini, già europarlamentare e oggi leader del movimento Napoli Capitale, e il consigliere comunale di Catania, Nino Penna (RD Sicilia), appena eletto nella lista Diventerà Bellissima del governatore Nello Musumeci”.
(Nella foto, Francesco Storace)
Fonte: Roma Daily News
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Riva Destra: dopo lo sgombero del camping River, ruspe anche al campo rom di via Salviati.
Se i motivi per i quali si sta procedendo allo sgombero del camping River sono sanitari, ci aspettiamo presto le ruspe anche nel campo di via Salviati che ogni giorno avvelena l'aria dei romani con i suoi roghi tossici"
Lo afferma in una nota, diffusa alla stampa, il consigliere del municipio V Fabio Sabbatani Schiuma, fondatore del movimento Riva Destra, per il quale è assolutamente apprezzabile l'aver proceduto nonostante il pronunciamento contrario della Corte Europea.
"Il campo nomadi di via Salviati precisa Schiuma, andrebbe chiuso da tempo per motivi di ordine pubblico. Troppi i reati continuamente reiterati: roghi, per giunta tossici, che avvelenano continuamente l'aria, ricettazione, riciclaggio, spaccio, riduzione in schiavitù' dei bambini, prostituzione, arresti di latitanti ecc, fino ai tristi episodi della morte della giovane cinese e del rogo del camper di Centocelle, tutti riconducibili a questo campo.
Il Ministro Salvini, ricorda il leader di Riva Destra, conosce bene la vicenda, d'altronde è venuto almeno due volte a via Salviati, nel maggio del 2016 e nello scorso marzo, allorquando ai microfoni dei giornalisti ebbe il coraggio di dire verità: qui di regolare non c'è nulla".
I cittadini ora confidano nelle sue posizioni chiare e decise: un campo se e' abusivo, lo dice la parola stessa, va sgomberato con la ruspa. Se e' regolare ma, come nel caso di quello di via Salviati a Tor Sapienza vengono reiterati alcuni reati, va chiuso per motivi di ordine pubblico.
Si tratta, conclude Sabbatani Schiuma, solo di applicare la legge, quella che colpirebbe un qualsiasi cittadino che si costruisce una casa senza licenza edilizia o un esercente nel cui locale pubblico si compiono ripetuti reati. Nulla di più".
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lunedì 23 luglio 2018
DA RIVA DESTRA A MILLE COMUNITÀ PER RIFARE L’ITALIA
DI FRANCESCO STORACE · PUBBLICATO · AGGIORNATO
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Fabio Schiuma alla festa tricolore promossa da Riva Destra |
C’era un trattore.
C’era una comunità di militanti, arrivati da tante parte d’Italia.
C’erano politici attivi nelle istituzioni.
C’era quella miscela che serve per ragionare sul domani di un’Italia che si è appena messa in marcia per il futuro.
C’era una comunità di militanti, arrivati da tante parte d’Italia.
C’erano politici attivi nelle istituzioni.
C’era quella miscela che serve per ragionare sul domani di un’Italia che si è appena messa in marcia per il futuro.
Riva Destra e mille emozioni che si provano ogni volta
che le persone si rimettono in moto.
Ieri a Palestrina Fabio Schiuma - tenace protagonista e leader
di una comunità che sta insieme con le proprie forze da oltre vent’anni -
ha radunato un pezzo di centrodestra che da solo
non si riesce a incontrare mai. Ma più che le sigle contano le facce,
le anime, le volontà. Ricostruire dunque; per ridare una missione, ad esempio,
a quanti hanno militato a destra e ora sembrano - sembriamo - farfalle impazzite.
Ognuno di noi si sente chiedere da altri, manco fossimo
nipotini di Lenin: “Che facciamo, con chi stiamo?”. Perché
è prevalso il protagonismo altrui dopo il declino provocato
dalle scelte irresponsabili di Gianfranco Fini e di chi gli faceva da corona e servizio d’ordine.
Quando lasciai An fecero festa; ora li senti dire “che famo”…
Non servono apparati finalizzati alla microtutela del proprio ego; di partiti ce ne sono
fin troppi. Meglio, molto meglio,
la formula associativa e comunitaria di quelli di Riva Destra
e del firmamento che è nato. O almeno che ha resistito come loro …
La casa naturale di molti se non di tutti sarebbe Fratelli d’Italia, ma ancora
non si vedono politiche di concreta apertura. Sembra prevalere la rendita di posizione, rispettabile, ma fino a quando può durare? Anche qui, c’è voglia di farlo questo partito PER la Nazione?
Il problema della comunità di destra oggi non è più una fiamma nel simbolo (la Lega non ce l’ha e prende lo stesso tanti voti di destra); manca una politica da cui sentirsi rappresentati con gioia e orgoglio di appartenenza.
Se Fratelli d’Italia - o almeno come vorrei facesse - fosse al governo magari ci sarebbero meno timori reverenziali nei confronti di poteri che minano l’azione dell’esecutivo: dal Quirinale all’Europa. Verrà il tempo, speriamo.
Ora c’è la Lega, che con la ruspa più che con il trattore, punta ad abbattere vecchi lacciuoli, ostacoli, nemici: i Soros che campano su Ong e migranti;
i burocrati che godono di tasse e vincoli comunitari dell’Ue;
il progressismo di cartone che si ciba di relativismo;
i manovratori orfani della sinistra al governo.
Ecco, bastano questi contenuti per capire perche’ sono in tensione anime e cuori di questa nostra gente.
Magari Schiuma e tanti altri come lui in giro per comuni
grandi e piccoli paesi riuscissero a creare una rete di attivisti
per la Nazione.
Qui, il problema principale non è solo quello - nobilissimo -
di rifare la destra, che in fondo già c’è e magari fosse un po’
più ambiziosa; ma rifare l’Italia, che ha bisogno di tornare
ad avere più fiducia in se’. Obiettivo a cui non basta Di Maio
con il suo stuolo di personaggi improbabili di cui si circonda.
Un esercito disperso vuole lavorare mentre cerca una guida.
Nel frattempo ci si preoccupi di riorganizzare, rimotivare e rigalvanizzare i soldati, le truppe, il popolo.
Francesco Storace
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venerdì 20 luglio 2018
A destra tornò la “Festa Tricolore”: lo storico appuntamento di nuovo a Roma.
Il movimento Riva Destra lo aveva annunciato il 4 luglio scorso, in occasione dell'inaugurazione della sua nuova sede romana, a due passi dal Viminale: nel Lazio. A destra, torna la stagione delle feste tricolori.
Lo storico appuntamento del Movimento Sociale, dal 1982 al 1994, poi a seguire di Alleanza Nazionale fino al 2008, riemerge in provincia di Roma. E precisamente nell'antica Preneste, oggi Palestrina, paese a meno di 40 chilometri dalla Capitale.
A dire il vero anche il partito di Giorgia Meloni ha cercato di continuarne la tradizione spostandola però a Milano, grazie all'organizzazione del suo proconsole locale Ignazio La Russa. Fatto sta che i tempi nei quali Giorgio Almirante e poi Gianfranco Fini infiammavano le folle della destra italiana, che resisteva e poi cresceva fino a diventare partito di governo, sembrano appartenere a un'altra epoca oramai.
"La nostra - spiega ad affaritaliani.it Fabio Sabbatani Schiuma, fondatore di Riva Destra, oggi consigliere nel quadrante attraversato proprio da Via Prenestina (la consolare che appunto collega Roma a Palestrina), dopo quasi 15 anni di Campidoglio e una costante presenza sulla piazza - non è solo una rievocazione storica di una festa che ha un profondo significato per chi è di destra e quindi anche di chi come noi ne siamo stati storicamente il suo primo circolo. È anche un segnale che vogliamo dare: di una destra doc, moderna ma con le radici salde, ce n'è bisogno. Il fallimento di Fini e di tutti i suoi colonnelli è stato totale e per ricostruirla serve una nuova classe dirigente, nuovi leader a cui noi offriamo il nostro sostegno per affermarsi in campo nazionale, riunire e ricostruire sulle macerie".
Riva destra è oggi schierata comunque "a favore di una coalizione di centrodestra, che per noi deve restare unita, per quanto oggi ne è Salvini l'indiscusso nuovo leader, il quale oggi raccoglie voti e consensi grazie a idee e valori che ieri erano il bagaglio culturale della destra". Domenica capiterà cosi di vedere fianco a fianco esponenti di primo piano di tutti e tre i partiti che ufficialmente ancora compongono il centrodestra, mentre al governo invece la Lega è alleata con il M5S.
In prima fila Mario Borghezio, un passato nella destra più accesa e poi un cursus honorum come irriducibile leghista, fino al Parlamento Europeo dove oggi siede, e animatore della Fondazione 'Europa dei popoli'. A Palestrina ci sarà anche una delegazione di FDI, con il deputato Marco Silvestroni, peraltro responsabile della provincia di Roma, e due consiglieri regionali, il capogruppo Fabrizio Ghera e la promettente e giovanissima Chiara Colosimo. Ma anche una rappresentanza, probabilmente un po' 'critica' di Forza Italia, con il ras locale, già senatore, Francesco Aracri, anche lui di rigorosa provenienza aennina, e un'altra emergente neoeletta alla Pisana, Laura Cartaginese, che nella limitrofa zona di Tivoli ha la sua roccaforte. Si parla anche di una possibile presenza last second del Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, il quale avrebbe comunicato ufficialmente agli organizzatori che "cercherà di esserci" e sarebbe davvero interessante vederlo fianco a fianco con Borghezio.
Il tutto in una location completamente agreste: "Abbiamo organizzato nel miglior modo possibile, con i nostri unici mezzi che sono le nostre braccia e una colletta - spiegano i vertici romani di Riva Destra, Lorenzo Loiacono, Cristiano Spadola e Diamante Guerra - anche perché noi non siamo un partito, ci teniamo a sottolineare, ma una comunità militante che vuole dare un contributo a ricostruire la destra partitica e offrire sostegno e candidati ai partiti di centrodestra che ci offrono spazi nei territori".
Così Domenica prossima, dalle 11 in poi, attorno a brace, bruschette, vino e anguria, offerti come "pranzo sociale" da Riva Destra, con tanto di piscina per bambini e ombrelloni per ripararsi dal sole, "ci saranno anche i nostri coordinatori di Calabria e Puglia (Francesco Stinà e Francesco De Noia), il nostro amico Enzo Rivellini, anche lui già europarlamentare e oggi leader del movimento Napoli Capitale, e il nostro consigliere comunale a Catania, Nino Penna - annuncia il Portavoce Nazionale di Riva Destra, Alfio Bosco, siciliano doc - appena eletto grazie alla lista Diventerà Bellissima del governatore Nello Musumeci, altro nostro importantissimo punto di riferimento".
Prossimo appuntamento sulla Riva Destra, la riunione del suo 'parlamentino', la Direzione Nazionale, il 7 ottobre a Roma, ma chissà se il centrodestra sarà ancora in piedi.
O lo sarà invece il governo giallo-verde.
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giovedì 19 luglio 2018
19 luglio - ANNIVERSARIO DI UN EROE NAZIONALE, DI UN GIUDICE VERO, DI UN UOMO DI DESTRA.
Il 19 luglio del 1992 fu ucciso a Palermo il presidente ideale della seconda repubblica italiana. Era un magistrato, come colui che fu poi eletto presidente della repubblica (Scalfaro), ma lui all'Italia dette la vita e non la retorica.
Era un magistrato ma non era malato di protagonismo e di livore ideologico. Quarantasette parlamentari del MSI lo votarono Presidente di una Repubblica ideale. Quarantasette, morto che parla e dopo che avevano ucciso Falcone,
Paolo Borsellino era un morto che parlava. Sapeva ormai da due mesi che il prossimo sarebbe stato lui ma rimase al posto suo, a testa alta. Perché lui era davvero un uomo d'onore, nel senso che alla mafia di una volta incuteva timore e rispetto; meno alla nuova, più spregiudicata e cinica. Lui era un servitore dello Stato, credeva nell'autorità dello Stato e nella missione del magistrato. Non serviva solo la Repubblica e la Costituzione ma amava la sua patria, l'Italia, a partire dalla sua Sicilia.
Non a caso, da giovane aveva militato nelle organizzazioni del Msi. Pochi ricordano che fu tre giorni prima della strage di Capaci, avvenuta durante le votazioni per l'elezione del presidente della repubblica, che i 47 missini votarono Borsellino presidente. Peccato che furono così pochi, e altri non si accodarono: forse quel voto avrebbe salvato la vita a lui e la dignità alla repubblica. Lo diciamo col senno di poi, forse avremmo salvato un grande uomo.
Quanta gente campa ancora sulla morte di Paolo Borsellino. Quanti magistrati devono a eroi come lui se hanno avuto largo credito e pubblica fiducia. La magistratura italiana per anni ha vissuto sull'eredità di toghe insanguinate come la sua, godendo di un'autorevolezza assoluta. Nessuno poteva toccare il ruolo e il prestigio delle toghe dopo il sacrificio di Falcone e Borsellino. Quante anime belle hanno inzuppato la loro retorica nel sangue di quel magistrato.
C'è una vena di sciacalleria in tutto questo e di appropriazione indebita della memoria di un eroe, un martire e un galantuomo. Perché Borsellino non era un giudice d'assalto malato di protagonismo e di furore ideologico, come molti magistrati che abbiamo tristemente conosciuto negli ultimi anni.
Borsellino non era un giudice giacobino, non cercava popolarità attraverso clamorosi atti giudiziari, e tantomeno pensava di darsi alla politica, di portare all'incasso la sua fama di giudice antimafia. Borsellino era davvero un uomo d'onore, nel senso che alla mafia di una volta incuteva timore e rispetto; meno alla nuova, più spregiudicata e cinica della precedente. Borsellino era un servitore dello Stato, uno che credeva nell'autorità dello Stato e nella missione del magistrato. Non serviva solo la Repubblica e la Costituzione ma amava la sua patria, l'Italia, a partire dalla sua Sicilia.
Perché Borsellino era un uomo di destra, fin da ragazzo aveva militato nelle organizzazioni studentesche missine. Borsellino aveva diretto un giornale destrorso al liceo, Agorà, poi si era iscritto al Fuan nel 1959, entrò nell'esecutivo provinciale tre anni dopo e diventò vice. Borsellino rischiava per le proprie convinzioni perché come scriveva Pound se non rischi per le tue idee o non valgono niente le tue idee o non vali niente tu.
Sono stati tanti gli eroi e martiri di questa pur ingloriosa repubblica; e nella lotta alla criminalità siciliana o campana molti caduti furono siciliani, campani e di destra, anzi missini. Borsellino andò incontro alla morte con eroico fatalismo, sapendo che ormai una sentenza di morte era stata scritta contro di lui. Conosceva troppo bene la mafia e i mafiosi per non averlo capito. L'agonia di Paolo Borsellino non fu breve, come scrissero le cronache di quel venti luglio, ma durò ben cinquantotto giorni. Perché quando fu ucciso Falcone con la sua scorta, il 22 maggio a Capaci, Borsellino capì che il prossimo della lista era lui.
Lo sentiva, glielo facevano sentire e lo avvertivano anche coloro che gli stavano intorno e gli osservatori più attenti. Andò incontro all'ultimo appuntamento senza inscenare piazzate, conferenze stampa, movimenti di popolo e sceneggiate. Aveva la sua scorta ma sapeva, dopo il caso Falcone, che gli uomini della scorta più che scudi, rischiavano di diventare suoi consorti, legati al suo tragico destino, come poi accadde. Così trascorse quella mezza estate del '92 guardando in faccia il suo destino e i suoi carnefici, senza defilarsi o cambiar mestiere. Un'estate decisiva, che segnò poi la fine della prima repubblica, l'elezione di Scalfaro, lo sviluppo di Tangentopoli.
Beato un popolo che onora i suoi eroi di cui abbiamo bisogno più del pane. Eroi come Borsellino.
(liberamente tratto da Marcello Veneziani, Il Tempo 8 dicembre 2016)
Fabio Sabbatani Schiuma
www.studiostampa.com
Era un magistrato ma non era malato di protagonismo e di livore ideologico. Quarantasette parlamentari del MSI lo votarono Presidente di una Repubblica ideale. Quarantasette, morto che parla e dopo che avevano ucciso Falcone,
Paolo Borsellino era un morto che parlava. Sapeva ormai da due mesi che il prossimo sarebbe stato lui ma rimase al posto suo, a testa alta. Perché lui era davvero un uomo d'onore, nel senso che alla mafia di una volta incuteva timore e rispetto; meno alla nuova, più spregiudicata e cinica. Lui era un servitore dello Stato, credeva nell'autorità dello Stato e nella missione del magistrato. Non serviva solo la Repubblica e la Costituzione ma amava la sua patria, l'Italia, a partire dalla sua Sicilia.
Non a caso, da giovane aveva militato nelle organizzazioni del Msi. Pochi ricordano che fu tre giorni prima della strage di Capaci, avvenuta durante le votazioni per l'elezione del presidente della repubblica, che i 47 missini votarono Borsellino presidente. Peccato che furono così pochi, e altri non si accodarono: forse quel voto avrebbe salvato la vita a lui e la dignità alla repubblica. Lo diciamo col senno di poi, forse avremmo salvato un grande uomo.
Quanta gente campa ancora sulla morte di Paolo Borsellino. Quanti magistrati devono a eroi come lui se hanno avuto largo credito e pubblica fiducia. La magistratura italiana per anni ha vissuto sull'eredità di toghe insanguinate come la sua, godendo di un'autorevolezza assoluta. Nessuno poteva toccare il ruolo e il prestigio delle toghe dopo il sacrificio di Falcone e Borsellino. Quante anime belle hanno inzuppato la loro retorica nel sangue di quel magistrato.
C'è una vena di sciacalleria in tutto questo e di appropriazione indebita della memoria di un eroe, un martire e un galantuomo. Perché Borsellino non era un giudice d'assalto malato di protagonismo e di furore ideologico, come molti magistrati che abbiamo tristemente conosciuto negli ultimi anni.
Borsellino non era un giudice giacobino, non cercava popolarità attraverso clamorosi atti giudiziari, e tantomeno pensava di darsi alla politica, di portare all'incasso la sua fama di giudice antimafia. Borsellino era davvero un uomo d'onore, nel senso che alla mafia di una volta incuteva timore e rispetto; meno alla nuova, più spregiudicata e cinica della precedente. Borsellino era un servitore dello Stato, uno che credeva nell'autorità dello Stato e nella missione del magistrato. Non serviva solo la Repubblica e la Costituzione ma amava la sua patria, l'Italia, a partire dalla sua Sicilia.
Perché Borsellino era un uomo di destra, fin da ragazzo aveva militato nelle organizzazioni studentesche missine. Borsellino aveva diretto un giornale destrorso al liceo, Agorà, poi si era iscritto al Fuan nel 1959, entrò nell'esecutivo provinciale tre anni dopo e diventò vice. Borsellino rischiava per le proprie convinzioni perché come scriveva Pound se non rischi per le tue idee o non valgono niente le tue idee o non vali niente tu.
Sono stati tanti gli eroi e martiri di questa pur ingloriosa repubblica; e nella lotta alla criminalità siciliana o campana molti caduti furono siciliani, campani e di destra, anzi missini. Borsellino andò incontro alla morte con eroico fatalismo, sapendo che ormai una sentenza di morte era stata scritta contro di lui. Conosceva troppo bene la mafia e i mafiosi per non averlo capito. L'agonia di Paolo Borsellino non fu breve, come scrissero le cronache di quel venti luglio, ma durò ben cinquantotto giorni. Perché quando fu ucciso Falcone con la sua scorta, il 22 maggio a Capaci, Borsellino capì che il prossimo della lista era lui.
Lo sentiva, glielo facevano sentire e lo avvertivano anche coloro che gli stavano intorno e gli osservatori più attenti. Andò incontro all'ultimo appuntamento senza inscenare piazzate, conferenze stampa, movimenti di popolo e sceneggiate. Aveva la sua scorta ma sapeva, dopo il caso Falcone, che gli uomini della scorta più che scudi, rischiavano di diventare suoi consorti, legati al suo tragico destino, come poi accadde. Così trascorse quella mezza estate del '92 guardando in faccia il suo destino e i suoi carnefici, senza defilarsi o cambiar mestiere. Un'estate decisiva, che segnò poi la fine della prima repubblica, l'elezione di Scalfaro, lo sviluppo di Tangentopoli.
Beato un popolo che onora i suoi eroi di cui abbiamo bisogno più del pane. Eroi come Borsellino.
(liberamente tratto da Marcello Veneziani, Il Tempo 8 dicembre 2016)
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